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Parità un corno. Due scuole cattoliche a Livorno condannate a pagare 422 mila euro di Ici

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Hai voglia a chiamarle ancora “scuole paritarie”. Grazie a una «sentenza storica» della Corte di cassazione «destinata a fare giurisprudenza» (così la descrive euforicamente il corriere.it), per due scuole di Livorno gestite da enti religiosi cattolici la parificazione con gli istituti gestiti dallo Stato diventa ufficialmente un sogno infranto. A nulla è servita la legge di Luigi Berlinguer che definisce il sistema dell’istruzione “pubblica” come l’insieme delle scuole statali e delle scuole paritarie: secondo la Cassazione, le strutture educative non statali che chiedono rette alle famiglie degli alunni non sono altro che attività commerciali, e come tali quindi devono pagare l’Ici, l’imposta comunale sugli immobili poi “evoluta” in Imu. E pazienza se questo le costringerà a chiudere baracca.

ARRETRATI E SANZIONE. È davvero un (doppio) verdetto pesantissimo quello emesso questa mattina dalla suprema corte italiana nei confronti delle scuole “Santo Spirito” e “Immacolata” di Livorno. Come spiega il sito di Repubblica Firenze, «si tratta del primo pronunciamento del genere in Italia su questo tema». E dunque per la prima volta in Italia è riconosciuta la legittimità di una richiesta di pagamenti arretrati dell’Ici da parte di un Comune nei confronti di enti gestori di scuole (pubbliche) paritarie. Nella fattispecie, come conclusione di un contenzioso con il municipio di Livorno cominciato nel 2010, i due istituti cattolici dovranno versare nelle casse cittadine la bellezza di 422.178 euro tra la somma “dovuta” per le imposte mai pagate (2004-2009) e la relativa sanzione.

IRRILEVANTE LO SCOPO. Spiega in una nota l’ufficio stampa dell’amministrazione livornese: «Con le sentenze 14225 e 14226 depositate l’8 luglio, la suprema corte ha di fatto ribaltato quanto stabilito nei primi due gradi di giudizio, sentenziando che, poiché gli utenti della scuola paritaria pagano un corrispettivo per la frequenza, tale attività è di carattere commerciale, “senza che a ciò osti la gestione in perdita”. In proposito il giudice di legittimità ha precisato che, ai fini in esame, è giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, risultando sufficiente l’idoneità tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio. E cioè, il conseguimento di ricavi è di per sé indice sufficiente del carattere commerciale dell’attività svolta».

ALLARME DI TOCCAFONDI. Insomma, se non è nero su bianco, poco ci manca: la parità è abolita. O quanto meno è in serio pericolo. Conferma il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi: «Se le scuole paritarie devono pagare l’Imu, molte aumenteranno le rette o chiuderanno», avverte Toccafondi in una nota. «Lo Stato di conseguenza dovrà trovare nuove risorse per costruire nuove scuole e gestirle e la parità scolastica non solo sarà minima nel nostro paese, ma proprio scomparirà. Rispetto le sentenze ma questo non vuol dire che, conoscendo la situazione dei conti di queste scuole, non si arrivi a delle conclusioni che mi paiono logiche».

«VERO SERVIZIO PUBBLICO». Il sottosegretario ricorda anche che «l’Imu le scuole pubbliche statali non la pagano ed è giusto che lo stesso valga anche per le scuole pubbliche non statali». Questo perché «tutte e due fanno un servizio di pubblica utilità», come riconosciuto dalla legge italiana. Continua Toccafondi: «Le paritarie chiedono una retta per coprire i costi dei contratti degli insegnanti e per le utenze, l’Imu come ho sempre sostenuto è giusto che sia pagata dalle scuole che hanno rette alte e che fanno utili, ma cosa diversa è per la stragrande maggioranza di queste realtà, che a mala pena riesce ad arrivare al pareggio di bilancio, che cercano di fare miracoli per avere rette minime, che vengono incontro alle famiglie che si trovano in difficoltà e che non discriminano nessuno. Queste sono scuole vere, controllate, che svolgono un servizio pubblico rivolto a tutti, far pagare migliaia di euro di Imu rischia veramente di far collassare un sistema che collabora con i comuni e con lo Stato per l’istruzione e l’educazione dei nostri ragazzi».

Foto scuola Chernobyl da Shutterstock



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